giovedì 22 dicembre 2011

Straccamerigge

Nel colorito pantheon dei modi di dire marchigiani, e dunque nella maniera in cui in questa regione si descrive il mondo percepito, la figura dello straccamerigge spicca per una sua particolarità: costui non è infatti definito e individuato per una presenza (per ciò che fa, per come lo fa), bensì per un'assenza. Lo straccamerigge è infatti colui che non fa assolutamente nulla, colui che parte con l'intenzione programmatica di non compiere alcunché di utile e in generale di non attivarsi in alcun modo.
Il nome, di delicata poesia, spiega già tutto. Se stracca' significa infatti, come tutti intendono, "stancare", la meriggia, con curiosa traslazione semantica dal suo originale significato di "ora di mezzogiorno", indica invece il luogo coperto, fresco, in cui semmai ripararsi dal sole estivo a picco, che brucia la pelle e la cervice del povero contadino. Quest'ultimo, non a caso, brama perpetuamente il momento del riposo da trascorrere "sotta la meriggia", cioè all'ombra; tanto che quest'ultima espressione è diventata anch'essa proverbiale e diffusissima tra i marchigiani, quasi si trattasse di un piccolo spaccato di godimento metà epicureo e metà rurale (abbiamo già visto in altri casi, d'altronde, come le Marche siano in sostanza un incontro tra civiltà classica e realtà contadina, e come i due mondi si compenetrino de facto inestricabilmente).
In un mondo regolato dai ritmi della fatica, chi si sottrae ad essa e resta più del lecito all'ombra - appunto sotta la meriggia - si segnala rapidamente; gli altri si domandano che fine abbia fatto e ben presto lo identificano come lavativo ("Du ello* adè? Non el sa che emo da arpia' 'l fadigo?". "Du voi che ello... È armasto lì la pergola, a beve 'l vi' e a badurlasse**". "Arca mado', è propio no straccamerigge"). L'origine etimologica sembra dunque ben chiara: chi trascina l'ombra del giorno ben oltre il lecito, fino assurdamente a stancarla, è con tutta evidenza colui che si sottrae al dovere e mette gli altri in condizione di dover lavorare anche per lui. Si confronti comunque l'ampia trattazione del lemma in A. KNICKERBOCKER-MASSACCESI, Etica calvinista sto cazzo: assenteismo e fuga dal lavoro nella prima Età Moderna, Albany 1992.
Vi sono tuttavia ipotesi discordanti. Il Po Di Goro (Massimo Vincenzo Po Di Goro, classicista dell'Università di Bologna e fiero rivale del Pascoli all'epoca dei suoi trionfi nei certamen di poesia latina) ritiene infatti che l'espressione giunga da ben più lontano e, per così dire, da più sotto. Il primigenio straccamerigge sarebbe, a suo parere (vedi M. V. PO DI GORO, Giove, governo ladro: lasciti classici nella tradizione popolare, San Giovanni in Persiceto 1908), nient'altro che il musico e poeta Orfeo. Questi, com'è noto, entrò da vivo nell'Ade e ne uscì con la sua amata Euridice, pur perdendola poi a un passo dalla salvezza. Ma come poté domare le anime dei morti? Come seppe rabbonirle? A questa domanda Po Di Goro risponde che Orfeo fece ciò con la musica e il canto, intrattenendo le ombre fino a stancarle e distrarle: da qui la prima versione dello straccamerigge, evidentemente ancora positiva e degna di ammirazione. In seguito, essendo Orfeo comunque un musicista e un cantore errante, e dunque un vagabondo, finì per prevalere invece l'associazione tra straccamerigge e nullafacenti (come ben mostra lo studioso Oscar Luigi Cicinho nel suo ponderoso Musicisti, giocolieri e mangiafuochi nel paesaggio urbano marchigiano: inutili o dannosi?, Carpegna 1997).
Una ulteriore ipotesi è stata ventilata di recente a un grande convegno con grigliata finale, tenutosi sulla spiaggia di Mezzavalle e terminato tra le bestemmie per la difficoltà di riportare su tutta quell'attrezzatura fino alla strada provinciale soprastante. In quell'occasione, fra il vivo interesse dei bagnanti, il prof. Wunder dell'Università di Berna affermò che lo straccamerigge fosse da identificare con la figura storica di Enrico Stracca-Merigge, fratello del notissimo giurista anconetano Benvenuto Stracca e progenitore del ramo cadetto della famiglia. Questi - intendiamo Enrico, o Righetu - si contrapponeva all'attivismo intellettuale e alla grande produzione del fratello, vero riformatore del diritto marittimo e inventore del diritto commerciale con i suoi fondamentali De Mercatura e De assicurationibus; si contrapponeva, dicevamo, restando semplicemente fermo, intento solo a mangiare crostacei in porchetta, senza che valessero a distrarlo i richiami del fratello o i drammatici eventi storici, quali la caduta della Repubblica di Ancona nel 1532. Pare tuttavia, ma non vi sono conferme, che proprio in quell'occasione Enrico Stracca-Merigge trovò la morte, quando si rivolse a un gruppo di armigeri pontifici con un sonoro "E nun me rompé i cujoni mentre che cago! O babaloni!". Quelli, sembra, si offesero e ne fecero un secondo Archimede, vittima della propria arte e concentrazione. Si leggano W. WUNDER, Stracca-Merigge: un ritratto, Monte San Vito-Schaffhausen 2004, nonché E. BRUGIAMOLINI, Misfatti papali nella Marca di Ancona, Strettura di Spoleto 1913.
Quale che sia la verità, è certo che Stracca-Merigge non fece in tempo e non ebbe mai voglia di raccogliere la propria saggezza; restano piccoli echi di lui solo in trattati specifici (cfr. AA. VV., El deritu comerciale e la cocchia de tu madre: giuristi dorici dal Medioevo a piazza Ugo Bassi, Ancona 1959). Il popolo, però, deve aver conservato il ricordo della sua luminosa figura fino a farne l'archetipo dello sfaccendato.
Altri, infine, obiettano a questa chiave di lettura affermando che straccamerigge è un termine di etimo più montano e contadino che anconetano e marinaro, e mettono semmai l'accento sulla possibile condivisione del lemma tra Marche e altre zone del centro Italia; non a caso, si sostiene, Eugenio Montale nel suo periodo giovanile e d'impronta stilnovista volle utilizzare il verbo "meriggiare" nella sua ben nota descrizione dell'ozio poetico postprandiale.
In ogni caso, qualunque sia la verità sulla provenienza del termine, esso si inserisce perfettamente - come proverbiale eccezione che conferma la regola - nel mondo marchigiano classico. Quest'ultimo, infatti, è costituito nella sostanza da una discendenza contadina, ossia in un'organizzazione in opere e ore e giorni, per parafrasare Esiodo; in questo senso, chi si attarda nell'ora meridiana sotto l'ombra rientra perfettamente, pur fuggendone, in questa civiltà. Dall'altro lato, quello della forma, abbiamo già più volte denunciato il gusto del sarcastico e del surreale che caratterizza l'indole marchigiana: e l'idea di uno in grado di stancare le ombre ci pare rientrare a pieno titolo in questa passione regionale.

* Dov'è.
** Perder tempo senza costrutto.

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