giovedì 2 febbraio 2012

La sera orsi, la madina arsi

Modo di dire dall'utilizzo chiaramente limitato all'ambito della notte brava, e della seguente risacca, esso - com'è evidente a tutti- trova il suo corrispondente quasi perfetto in italiano nel rozzo detto "Di notte leoni ecc.". Con la differenza, tuttavia, che non solo nella versione marchigiana si utilizza nella prima parte della frase un diverso animale, ma si evita poi la volgarità gratuita e (diciamolo) fastidiosa, ricorrendo invece a un'aggettivazione all'apparenza più neutra e precisa, che ha tuttavia il vantaggio di un'allitterazione non banale.
La formula, non c'è neanche bisogno di specificarlo, si usa fondamentalmente in due occasioni e due contesti: tra ragazzi che scherzino su una loro serata, o che stiano prendendo di mira in particolare un amico che ci è rimasto bozzado, oppure quando è un adulto - uno di quegli adulti gravi e seriosi che ancora esistono in provincia, dove la pornografia dell'eterna giovinezza non ha attecchito come in città - a rivolgersi a un giovane o a più giovani. "Comm'è, oggi 'n te ne a* de beve? O leggera...", dirà perciò un ragazzo rivolgendosi all'amico che fatica a mandar giù una tazza di tè, richiesta al bar del paese in luogo della solita birra. "Ma bada a camina'! Te vara a sto poccialatte**, vole veni' a 'mpara' a beve a me...". "Eh, prò intanto te fe na tisana: que te manca, l'idradazio'? La sera orsi la madina arsi, nn'è ve'?".
Nel caso invece in cui sia un vecchio - lato sensu - a rivolgersi ai ragazzi reduci da un tour de force alcolico o d'altro genere, resi riconoscibili dallo sguardo stanco e dal pallore funereo, non mancherà un minimo di complicità: la stessa connotazione sarcastica ma non derisoria del detto ne prova il fondo di bonarietà. "O munelli, emo vejado stanotte?". "Eh... È cucì...". "V'ho visto da nfra le persiane, stamadina presto, tutti taccadi a le cannelle de la piazza: como se dice, la sera orsi e la madina arsi...". "Eh... È cucì..." chioseranno a quel punto i ragazzi, senza riuscire a trovare nulla di più acuto e intelligente per proseguire il discorso (vedi anche, a questo proposito, F. MORICHINI, La mattina dopo la sera del dì di festa. Dialettica marchigiana in condizioni estreme, Montecassiano 1958).
L'origine del detto non è chiara. Vi sono in effetti almeno due diverse teorie che si scontrano frontalmente. La prima è quella del prof. Crocro dell'Ateneo di Bellinzona-Mendrisio; questi, allievo del Windisch-Grätz ed emulo dei suoi rivoluzionari studi in materia di alimentazione, ritiene che l'arsura evocata nel modo di dire sia un eufemismo che coprirebbe una realtà ben più tragica. Questa avrebbe a che fare con una mitica battuta di caccia, avvenuta nella notte dei tempi o per meglio dire nell'Alto Medioevo, quando l'Europa era ricoperta di nere foreste impenetrabili e le Marche - oggi tanto levigate - non facevano eccezione a tale regola. Per essere più chiari, Crocro sostiene che vi sia stata in quell'epoca dalle parti del Monte Nerone una leggendaria caccia all'orso, cui avrebbero partecipato di sicuro gli esponenti più in vista delle famiglie nobili marchigiane, in particolare di quelle dell'entroterra urbinate (si suggerisce la presenza di un Brancaleoni, di un Ubaldini, di un Montefeltro). Quella caccia sarebbe terminata con l'uccisione di uno o più plantigradi e con l'allestimento di un grande banchetto; ma non sapevano, i tapini (ancorché nobili), che il fegato degli ursidi è velenoso per gli esseri umani: sicché la loro presunzione di voler consumare dei fegatelli come culmine della loro gran cena li portò già durante la notte a un'intossicazione fatale. L'aspetto delle salme, con la pelle consumata e quasi bruciata dalla bomba vitaminica, valse a suggerire l'idea di un'arsura mortale; e la sentenza "La sera orsi la madina arsi" passò ben presto in proverbio (cfr. A. CROCRO, La golosità nei secoli. Per una storia ragionata degli jótti, Lecco 1996, e anche E. BORGOGNONI-TANCREDI, Mortalità accidentale de' nobili della Marca, San Costanzo 1875).
Un'altra ipotesi pone invece la genesi di questo modo di dire ben più addietro nel tempo. Si fa dunque riferimento, in questa tesi particolarmente cara agli storici del linguaggio di scuola germanica, alla ben nota scorreria dei Galli Senoni, ultimi arrivati e più meridionali tra i Celti italiani, i quali all'inizio del IV secolo a. C. giunsero a saccheggiare Roma per poi ritornare nelle loro sedi sull'Appennino marchigiano. È noto da molteplici fonti e esplicitamente ammesso anche dagli storici romani che la battaglia sul fiume Allia, che aprì ai Galli le porte dell'Urbe, fu vinta soprattutto grazie all'inusitato furore e al coraggio sovrumano e incosciente dei guerrieri Senoni, non numerosi né particolarmente dotati di acume tattico.
Secondo alcune interpretazioni di certi passi classici, il furor gallicus che atterrì le legioni era soprattutto quello di certi combattenti vestiti solo di una pelle d'orso, i quali, anche per l'assunzione prima della battaglia di alcune droghe eccitanti e allucinogene, parevano invasati e invulnerabili. Si sa d'altronde che i guerrieri-orso, i cosiddetti berserker, sono una realtà storica accertata nel mondo celtico e germanico; ma la loro prima apparizione in Italia colpì i nemici tanto da sbandarli e portarli alla disfatta.
D'altra parte, è altamente probabile che la maggioranza di quegli "orsi" non sopravvisse alla battaglia, sia per le ferite riportate, sia per le conseguenze venefiche delle sostanze assunte. Il giorno dopo la grande battaglia, perciò, furono innalzate delle grandi pire su cui vennero bruciati i cadaveri dei caduti e, con particolare solennità, quelli dei guerrieri-orso. Il distico "La sera orsi/ la madina arsi" trarrebbe perciò origine da quell'episodio e celebrerebbe quegli eroi che non potevano essere ricordati in altro modo, data l'assenza di complessi monumentali e di simili mausolei nei villaggi gallici. Dopo la conquista romana dell'Ager gallicus e l'assimilazione dei Senoni, la genesi storica della formula e il suo reale significato sarebbero andati perduti; ma quella semplice ed evocativa frase sarebbe invece rimasta nel patrimonio folcloristico delle genti dell'entroterra anconetano, inconsapevoli di rinnovare in quel modo, di tanto in tanto, la propria lontana e gloriosa origine gallica.
Tale interpretazione, diffusa dal linguista tedesco di Boemia Karl-Heinz Kaninchenfresser nel suo Ebbrezza e virilità: le origini guerresche e comunitarie dell'ubriachezza molesta (Nürnberg 1851), fu poi tacciata dalla protofemminista inglese Susan Dishdropper di maschilismo, esaltazione della violenza, nazionalismo germanico e propagandismo di un'idea antica e ingiusta di società. In un suo lungo e articolato saggio, uscito in seguito a Bamberga e concepito come risposta ideale a tali infamanti accuse, il Kaninchenfresser invitò la suffragetta a tornare in cucina. In seguito i due ebbero una relazione che produsse tre figli e un romanzo storico a quattro mani (Lady Godiva, o l'amore al modo degli animali, Norwich 1866).

* Va; la vu intervocalica, nei dialetti marchigiani centrali, è spesso debole e talvolta viene del tutto eliminata.
** "Succhialatte", marmocchio.

2 commenti:

  1. Illuminante il testo del Crocro.
    E stasera sono un orso...

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