lunedì 18 giugno 2012

'Na botta ndu che piscia

Espressione abbastanza diffusa nella provincia anconetana, 'na botta ndu che piscia tradisce - per la sua materialità brutale - la probabile provenienza jesina; essa riflette infatti in modo chiaro la mentalità e lo stile propri dell'operosa città che ha dato i natali a Federico II.
Lo spirito jesino, non in contrapposizione d'altra parte a quello prevalente nella regione, è in effetti popolare e imprenditoriale assieme. La progettualità anche ambiziosa si accompagna perciò senza problemi a una indubbia schiettezza, che diviene a volte rozza; ma mai squallida né tantomeno untuosa. Nel caso in esame, ci si riferisce con la formula - che è dunque esclusivamente maschile - all'avvenenza e alla desiderabilità di una donna. "Ce sae gido, dopo, a la festa de Claudia?", chiederà per esempio un tale al suo compagnone. "Scì, ce so' passado un menudo, verso tardi...". "A lia l'he ista? 'N te pare secca rrustida*?". Mbè, via, siguro 'n ce fai le salcicce... Cumunque te dirò, io je la darìa na botta ndu che piscia. Via, adè na olta je domando el nummero e vedemo sci se pole fa' qualco'...".
L'espressione ha a volte, ma non necessariamente, una certa valenza concessiva, quasi che la botta in questione fosse octroyée con grande liberalità dal maschio alla femmina in oggetto. "Mmh", mormorerà appena il ragazzo in spiaggia, seguendo con lo sguardo la giovane che gli viene indicata da un amico, "Nnè che sii tutta sta cocchia**, prò na botta ndu che piscia...".
Lo stile materialistico e intrinsecamente produttivo dell'espressione (che alcuni, vedi il Budre***. hanno definito addirittura "protocapitalistica") ha fatto pensare a una sua genesi nell'ambito artigianale che costituiva buona parte del tessuto economica delle città medievali e moderne e che tutt'ora caratterizza la regione adriatica. In particolare, la scuola critica finlandese, guidata dal Kuulo (Paavo Kuulo, di madre monteluponese; a lungo assessore alla cultura della provincia di Helsinki, propose un gemellaggio fra ciauscolo e salame di renna), sostiene la cosiddetta "ipotesi falegnamistica". Essa presuppone che, in tempi non precisati ma grossomodo tardomedievali, un giovanotto interessato a ottenere la mano di una figlia di bottegai osimani abbia mostrato la propria affidabilità e il proprio valore alla famiglia di lei compiendo una serie di lavoretti domestici; in altre parole, il rozzo e meschino mercante avrebbe approfittato del giovane innamorato per non pagare una serie di migliorie e riparazioni necessarie. Una di queste fatiche fu, sempre stando ai finlandesi, il consolidamento e l'imbollettamento comme il faut della latrina di casa, posta a ridosso delle mura cittadine. Lo spasimante, riferendo agli amici dei progressi della propria liaison, si sarebbe quindi riferito a quest'ultimo lavoretto in questi termini: "Dopo ieri so' gido a casa sua, el padre m'ea chiesto sci passao... Ha toccado a daje pure 'na botta ndu che piscia. Speramo che je va be' e che me lassa sta fiola, ch'io d'aggià comincio a straccamme de sfregnetta' per lora". Il passaggio logico successivo è chiaro: la riparazione della latrina assunse presto il significato di atto interessato per eccellenza, e dunque esser pronti a compiere quel lavoretto valse nutrire una passione per una donna. Dallo sposalizio alla semplice attrazione sessuale, il passo non dovette poi risultare lungo. Cfr.: P. KUULO, L'artigiano e la fica: quando due mondi si incontrano, Rovaniemi 1971.
Il luminare congolese Nzifu Gulumbu, professore di Storia medievale e Balli di gruppo all'Ateneo del Katanga, ha proposto una piccola variazione a questa ipotesi, pur mantenendo grossomodo inalterato il contesto storico: egli, influenzato dalla visione di un vecchio film con Paolo Villaggio, ha creduto che non si debba supporre la centralità nella vicenda una figlia di famiglia, bensì quella di una vedova de jure o de facto, tale Cunegonda da San Michele al fiume. Ella, ancor giovane e piacente, avrebbe a un certo punto richiesto l'aiuto di un fabbro per rimuovere una debilitante e ormai ingiustificata cintura di castità (era giunta notizia certa che il marito, Sciapigotto da Pongelli, era deceduto in Anatolia in uno scontro con i Peceneghi). Nei giorni seguenti il fabbro avrebbe riferito a mezza bocca e solo ad amici fidati di aver dato "un colpo ov'ella minge" alla nobile vedova; in seguito, anche per le pressioni del parroco Gustino, i due sarebbero convolati a giuste nozze. Alcune pergamene, ritrovate nell'Ottocento da un prelato che cercava dei fogli di cui necessitava per cacare, recano anzi la testimonianza del viaggio di nozze dei due a Montefelcino (PU; allora, tutt'al più, Ducato di Urbino). Si veda N. GULUMBU, Una vicenda romantica del basso Cesano, in "Dagli all'esploratore: quaderni di storia e cultura africana", 3/IX (1985).
Più complessa, e maggiormente centrata sul problema dell'accumulazione del capitale e sulla storia economica in generale, appare la teoria di Lorenzo von Lorenz, studioso austriaco di etica del capitalismo e formidabile sputatore di noccioli di brigògolo****. Costui, nelle sue usuali peregrinazioni per la Marca, raccolse la leggenda di una donna tanto ricca quanto eccentrica e insopportabile, unica figlia di un facoltoso possidente corinaldese, tale Sabatini. La donna in questione, la fiola d'Sabati', sarebbe stata rossa di capelli, di carattere forte e imperioso e di comportamento mascolino: per molti essa era anzi una strega, tanto che i braccianti della zona si sarebbero rifiutati di lavorare i suoi vasti campi dalle parti di Barbara (la donna, altro tratto curioso e malvisto, era solita recarsi a pisciare nei poderi). La riluttanza delle classi umili a collaborare con la supposta strega poteva certo mettere in grave difficoltà le sue finanze, non fosse stato per l'aiuto prestatole dal vicino Fiorenzo Gagliarducci: questi avrebbe personalmente provveduto a svolgere tutti i lavori necessari alla manutenzione dei campi: tra questi, forse il più gravoso era ed è tutt'ora la pulizia dei fossi, quelli appunto utilizzati dalla fiola d'Sabati' per le proprie minzioni. In questo senso Gagliarducci avrebbe in seguito riferito ai compaesani di aver dato alla ricca possidente "una botta dove piscia"; alle proteste querule di questi ultimi, che lo tacciavano di collaborazione col demonio, il villico avrebbe semplicemente risposto: "Ma po' sta non polede sta' zitti e bada' a camina'? Sci voa' staade un tanti' più diedro a la cocchia capace vedeade meno streghe...".
Il nobile sforzo del Gagliarducci gli avrebbe poi permesso, sempre per il Lorenz (cfr. V. v. LORENZ, La componente amorosa nell'economia di una regione italiana: il caso marchigiano, Wiener-Neustadt 1966) di far breccia nel cuore dell'ereditiera e di sposarla, dando vita a una nobile schiatta di proprietari terrieri e, molto tempo dopo, autoferrotranvieri.
Infine, qualcuno ha voluto mettere in relazione la formula centromarchigiana con quella inglese, "I'd hit it", molto in voga al momento su internet e in generale fra le giovani generazioni di tutto il mondo. Secondo Voinjiro Salamoto, sociologo nippo-senigalliese autore di Garagoj e meme: l'antico, il moderno e quella santa donna di tua madre (Gradara-Nagoya-Rotterdam 2011), il concetto di "dare una botta", "colpire", sarebbe stato originariamente assorbito dai marinai inglesi e scozzesi di passaggio per il porto di Ancona, e da lì ritrasmesso a tutto il mondo nel loro idioma dominante. Contro questa interpretazione stanno molte voci ascoltate e autorevoli; ma il Salamoto ha recentemente chiarito in un breve pamphlet (E sai quantu cazu me ne frega?, Pietralacroce-Heidelberg 2012) che la cosa lo lascia sostanzialmente indifferente. Resta dunque valida, in linea teorica, anche quest'ultima ipotesi che porterebbe nell'era telematica un pezzo di antica saggezza popolare.

* secca arrostita, magra in maniera impressionante.
** vagina; per estensione, donna di bell'aspetto.
*** Johann Budre, ordinario di Marchigianistica alla Reale Accademia di Studi Superiori di Stoccolma; noto soprattutto per avere inventato la regola per cui - nel gioco detto "tedesca" - il gol realizzato di culo elimina all'istante il portiere trafitto.
**** Albicocca.