lunedì 7 maggio 2012

Magna' su la testa (a qualcu')

Modo di dire ben diffuso in tutta la provincia anconetana, "mangiare in testa a qualcuno" descrive un'immagine di per sé molto precisa ed evocativa, che ha poco bisogno di spiegazioni: evidente che si tratti di un modo per significare una superiorità netta e indiscutibile, che non può venir messa in alcun modo in dubbio e che segna fin da principio l'esito finale di una gara, di un sfida, di uno scontro di qualsiasi genere.
Per fare un esempio che tutti possono chiaramente intendere, un incompetente dirà al proprio amico seduto accanto a lui al tavolino di un baretto di Barbara (AN): "Oh, el sai? A me me sa propio che adè 'n se ne troa 'n antro forte quante Cristiano Ronaldo...". Al che l'amico, volgendo la testa e con un guizzo negli occhi acquosi e bonari che sono gli occhi di tanti marchigiani (già nel loro sguardo si avverte un che di balcanico e di strutturalmente fatalista), risponderà allora verosimilmente: "Ma lassa gi', che Messi je magna su la testa a quelo recchió. Bada a sta' zitto, va', ché fe più bella figura. Que dighi, arbeémo*?".
Simili comparazioni, ovviamente, possono essere svolte anche in ambito più umile e familiare e assai meno competitivo. "He isto? ha sposado el fijo de Mengo! A la moje nna conoscio, prò dice che è birba**". "Io la conoscio: è birba perdéro, Me sa che a lue je magna su la zocca***. Va be' che non ce ole la scienza de Marcó****".
Come l'espressione sia nata e si sia diffusa è questione ampiamente dibattuta. Taluni vogliono che la spiegazione a tale colorita metafora sia da ricercare nel Medioevo, vero momento di formazione e fissazione dell'identità regionale, e in particolare nella ricca tradizione monastica che caratterizza le Marche: capofila di questo schieramento è stato Arvidas Marciulonis, filologo, storico e teologo lituano deportato in Siberia dai bolscevichi nel 1919 dopo aver rifiutato di prestare il proprio pettine a un commissario politico dell'Armata Rossa (solo le insistenze della sinuosa moglie Morositas gli valsero più tardi la grazia). Nella sua squallida baracca nella taiga, grazie anche alla vicinanza e all'incoraggiamento dei compagni di detenzione (un contrabbandiere armeno e un orso polare), Marciulonis ebbe comunque la forza di portare a termine la propria opera più significativa, Da Fra Cazzo da Velletri al Borussia Mõnchengladbach: il contributo del monachesimo alla definizione di un'identità europea. Il ponderoso volume, originariamente vergato con olio d'aringa su carta paglia, conobbe solo edizioni parziali e imprecise; il suo influsso ha comunque valicato i confini statali e i decenni, se è vero che qualcuno ne ha individuato un sentore anche nel riuscito monologo di Josè Mourinho dal titolo Non conosco Lo Monaco (Milano 2009).
Ad ogni modo, per quanto riguarda l'espressione in oggetto, Marciulonis, in questo confortato dal contrabbandiere ma non dall'orso polare, riteneva che essa derivasse da un'antica pratica degli ordini mendicanti: ossia, per testarne la fede e l'umiltà, il priore di una comunità consumava di tanto in tanto i propri pasti sul capo dei novizi, munita a questo scopo di comodo spazio libero (la cosiddetta chierica). In questi casi il superiore sceglieva pietanze particolarmente unte e bollenti - frittata di patate, crostoni con formaggio fuso, zuppe e passati di verdure, polenta, ecc. In ogni caso, assistere a tale trattamento chiariva immediatamente ai testimoni oculari chi fosse il superiore e chi il fraticello; sicché consumare il pasto sul capo di un altro divenne, in breve tempo, simbolo e sinonimo di evidente superiorità. Da qui, per il Marciulonis e per il contrabbandiere, ma non per l'orso polare, la genesi del modo di dire.
Altri (cfr. O. POLARE, Sulle vere origini del folklore marchigiano, Vladivostok 1925) ritengono che la visione quasi umoristica del pranzare in capo a qualcuno nasconda una realtà storica assai più brutale. È cosa nota e risaputa, infatti, che diverse tribù e popoli germanici apparvero a varie riprese nelle Marche: dalle prime discese dei razziatori diretti a Roma, proseguendo poi attraverso i Goti di Totila che si stanziarono a Osimo e i numerosi insediamenti longobardi sparsi per la regione, per finire infine con le tracce del risolutivo intervento dei Franchi, c'è sicura testimonianza di una lunga frequentazione fra le genti marchigiane e quelle popolazioni ancora feroci e barbariche. Non è assurdo, dunque, ipotizzare che il mangiare sulla testa sia il retaggio edulcorato di antiche costumanze, cui i contadini e i borghesi galli e piceni, ormai latinizzati, dovettero assistere con orrore: se tutti ricordano quella Rosmunda che dovette bere nel cranio del proprio padre, spolpato e modellato a guisa di coppa, non c'è motivo di escludere l'esistenza storica di una Rosmunda urbinate o maceratese, costretta a nutrirsi dalle (delle?) membra di chissà quale familiare...
D'altra parte, come suggerisce il linguista ucraino-americano Joe Vinko in un articolo uscito per la Gazzetta del Mezzogiorno al posto della cronaca di Bari-Juve Stabia, se è acuta e condivisibile la teoria del Polare, sussiste comunque anche la possibilità che una tale pratica di umiliazione del corpo del nemico sia stata praticata dai Galli Senoni - noti cacciatori di teste - ben prima dell'arrivo dei cosiddetti barbari, e anzi prima della battaglia del Sentinum (295 a. C.) che doveva dare inizio a otto secoli di dominio romano sulle odierne Marche. I romani, non meno crudeli ma assai meno truci, l'avrebbero anzi abolita. Si veda in ogni caso J. VINKO, Bari e Juve Stabia a braccetto verso la salvezza ne "La Gazzetta del Mezzogiorno", 5 marzo 2012.
Di quella ferocia antica, che sia stata praticata o subita dai marchigiani, o per meglio dire dai loro antenati, non resta oggi che un ricordo esorcizzato; ma, anche dietro l'eufemismo, l'odierno modo di dire conserva quella sicura ed evidente riprova della superiorità di un uomo su altri uomini di cui tanta crudeltà doveva essere una testimonianza piuttosto eloquente.

* Beviamo di nuovo.
** Furba, sveglia.
*** Testa.
**** "La scienza di Marconi", ossia una particolare preparazione e competenza specifica.