mercoledì 2 novembre 2011

(È rriado) Paccaciocchi

Un paccaciocchi, ma meglio sarebbe dire "il" paccaciocchi, giacché la categoria rifiuta l'inclusione in un'anonima massa inetta, è colui che si fa avanti quando si tratta di compiere imprese mirabolanti; o più spesso è colui che, seduto a un tavolo e con le braccia conserte, rivendica di averne realizzate in passato. Per tali meriti, più o meno verificabili, egli è all'istante premiato con la qualifica di paccaciocchi dai presenti, i quali di solito si rallegrano ad alta voce per il suo inaspettato apparire nella compagnia.
Il compianto antropologo Roberto Unti Bastoni, nel suo fondamentale La comparsa del paccaciocchi: noja e vanterie nella provincia marchigiana (Castelleone di Suasa 1982) così definisce la persona in oggetto: "Quell'individuo usualmente maschio, ché alla donna nelle società tradizionali compete la modestia, il quale ad una notevole abilità sia pratica che teorica unisce la ferma volontà di gloriarsene a ogni pié sospinto... Voce squillante, figura generalmente massiccia e squadrata con l'accetta, il paccaciocchi risponde «Presente» alle richieste della società (...)".
Lo stesso Unti Bastoni rievoca la figura di Piero Mancinelli, libero professionista nel settore agro-alimentare e noto viveur delle zone montane del Fabrianese: al suo arrivo sulla piazzetta di Marischio egli era solito raccontare ai compaesani colà radunati le proprie avventure notturne con modelle svedesi incontrate a Gubbio, oppure i propri faraonici guadagni nella borsa del mais; quando poi qualcuno dei suoi compaesani aveva difficoltà nel configurare un apparecchio elettronico, nella compilazione di un modello o nel risolvere uno schema di Bartezzaghi, immancabilmente costui ordinava "Camina, lungheme sto fojo... T'el fo vede io como se fa". Infine, in occasione dei suoi non infrequenti acquisti di macchine di lusso, Mancinelli soleva parcheggiare nella medesima piazza facendo rombare a lungo il motore, vero gioiello d'ingegneria tedesca, finché qualcuno non si avvicinava al mezzo e gli sussurrava con dolcezza "O paccaciocchi, smorcia sta maghina, ché chi ce 'mpesti pure el Dommeneddìo...". Mancinelli, peraltro, morì ancora giovane di ernia fulminante, dopo aver provato a sollevare un sacco da svariati quintali di farina da polenta caduto da un camion, sacco che era stato giudicato inamovibile dal Comune e lasciato perciò sul ciglio della strada: "S'è morto com'è campado, sto paccaciocchi", ebbero dunque a dire i vecchi dopo aver reso omaggio alla salma.
Per quanto riguarda l'origine del lemma, il Großkreutz (Ö. GROßKREUTZ, Centralità della sega nel Medioevo europeo, Koblenz 1913) ne individua la genesi nella rinascita post 1348, quando le Marche ricoperte da boschi e brughiere dovettero essere bonificate da coloni slavi o lombardi; in questo milieu storico si situa la figura mitica di Biagiotto, taglialegna nella zona di Mondavio, il quale avrebbe abbattuto boschi interi di querce e faggi e ne avrebbe fatto fascine finissime. Per tale abilità, che non arretrava di fronte ai nodi più aspri e ai più antichi e intricati grovigli di piante, nonché per la potenza nello spaccare il legno fino alle dimensioni desiderate, egli divenne presto il Paccaciocchi per eccellenza; tanto che i taglialegna del Duca di Urbino, impegnati magari in un lungo lavoro che pareva non avere fine, si sentivano riavere quando si diffondeva la voce che si stava unendo a loro anche Biagiotto: "Ecco Paccaciocchi... È arrivato Paccaciocchi!", e giù con rinnovata lena e splendido ottimismo... Oh gran bontà de' cavallieri antiqui! La prova storica dell'esistenza di Biagiotto, tuttavia, è purtroppo andata perduta una sera al "Gorghetto" di Frontone (PU), quando il Großkreutz ubriaco utilizzò carte d'epoca per pulirsi la bocca sporca di crescia e salumi: dimostrazione che anche i tedeschi, sia pur raramente, commettono degli errori di approssimazione.
Altri individua l'origine del paccaciocchi in un certo Jerzy Kaczotky, sottotenente della Legione Polacca sotto Napoleone e factotum del generale Boghossian, all'epoca governatore militare dei dipartimenti del Metauro e Musone; questi, soprannominato dai commilitoni Pa' Kaczotky per la sua lunga barba bianca, avrebbe plasmato con il suo notevole attivismo la figura del paccaciocchi. Si trova testimonianza di questa ipotesi, d'altronde minoritaria, nei deliri di un ubriaco penetrato a forza nel campanile di Montecarotto nel 1993, recentemente ristampati da Rubbettino (AA. VV., Arcamadonna non troo l'uscio de casa, Soveria Mannelli 2007).
Infine, vanno ricordate due varianti di pari senso e utilizzo: ci riferiamo cioè a "Tajavento" e "Sbregamadó". Se il primo lemma si ricollega alla dimensione surreale e onirica tanto cara ai marchigiani (si veda l'opus leopardiano, in ispecie lo Zibaldone), il secondo ha in sé la modernità civica e poi industriale; si è voluto anzi proporre un parallelismo tra i mitologici "rompimattoni" marchigiani e il "brickbreaker" spesso invocato nella cultura popolare dell'Inghilterra del Nord, primo nucleo dell'industrializzazione, nonché tipico esempio di edilizia a mattoni rossi. "Well, here comes the brickbreaker...", mormorerà fra sé l'allenatore delle riserve dello Sheffield Wedsneday, dopo che il numero 7 gli ha assicurato di poter dribblare senza problemi qualsiasi laterale mancino e di saper crossare poi dal fondo con rara competenza; in seguito, avendo assodato in partita la totale infondatezza di quelle parole, il burbero coach si chiederà quando la squadra biancoblù avrà di nuovo giocatori all'altezza del proprio blasone... Ma questo esula dal nostro tema, credo; e non vi annoio oltre.

1 commento:

  1. Manca un riferimento alla possibile derivazione dal francese antico "Sbregamadeaux"

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