Espressione di significato leggermente
bivalente, ma riconducibile comunque a uno stesso ambito, «como [o
"come"] l'osso al ca'» indica da un lato l'appropriatezza
di un'attribuzione, dall'altro la necessità di completare in una
determinata maniera un quadro che manchi di un elemento o che appaia
in qualche modo errata.
"Ce dice ste scarpe cul vestito?",
domanda ad esempio la donna marchigiana della buona società al
marito, qualche minuto prima di recarsi a teatro (sono già in
ritardo e l'uomo sbuffa). "Ce chioppa*", risponderà
l'uomo, senza più nascondere la propria insofferenza, "come
l'osso al ca'...". La donna, ovviamente, per nulla rassicurata
da un giudizio tanto superficiale, esiterà di nuovo davanti allo
specchio, vagamente maledicendo il giorno in cui ha sposato quel
vagabondo; questo, tuttavia, non è fatto peculiarmente marchigiano
ed esula dunque dalla nostra ricerca.
Molto spesso la formula è introdotta,
per motivi di rima ed armonia, dalla frasetta "Ce sta";
poniamo il caso di due amici: il primo, che ha da poco ristrutturato
una casetta, invita l'altro a bere una bottiglia nell'ambiente ancora
spoglio. "Chi me sa ce 'ojo fa' lo studio", indicherà
quindi, "Scinnò 'n ce fo gnè, ce lasso du poltrone e 'n
giradischi e ce veno a sciora'**". "Ce sta",
commenterà secco l'altro, già in preda ai fumi dell'alcool (ha
colpevolmente dimenticato di pranzare); per poi completare la frase,
dopo qualche secondo di pesca infruttuosa nella memoria: "...Come
l'osso al ca'!".
Sembra naturale e non ha bisogno di
grandi spiegazioni l'accostamento fra l'ovvia affinità tra cane e
osso, da un lato, e una situazione, un paragone, un'attribuzione ben
riuscita o ben pensata. Il quesito, invece, riguarda tempi e modi
della nascita o dell'arrivo della formula in seno alla comunità
marchigiana; quando e come, cioè, i nostri antenati hanno cominciato
a utilizzare questa frase fatta che a noi oggi pare tanto naturale e
istintiva.
Taluni, sulla scorta della grande
autorità del Rubamazzo (Edgardo Sebastopoli Rubamazzo, latinista di
enorme fama a metà dell'Ottocento; poi luogotenente del brigante
Crocco, infine di nuovo latinista dopo i necessari chiarimenti con la
giustizia), hanno avvalorato l'origine antica e in particolare latina
della formuletta.
Essa doveva far parte di un nutrito gruppo di
sententiae pensate per l'educazione dell'infanzia e della
gioventù, passate pian piano in proverbio e divenute saggezza
popolare e non più generazione. L'originale utilizzo pedagogico
sarebbe testimoniato dalla struttura in rima della frase, che
all'epoca doveva suonare: "Hic est mos/ tamquam cani os"
(così si fa/ come l'osso al ca'). La frasettina serviva cioè ad
ammaestrare i bambini e a sottolinearne i comportamenti corretti; il
passaggio all'ambito degli adulti, magari mediato prima da un
atteggiamento scherzoso, poi perdutosi col tempo dev'essere parso
naturale. Così almeno sostiene il citato Rubamazzo nelle sue
Divagazioni sulla lingua latina a margine di un bivacco di
legittimisti (Tunisi 1864), volume a suo tempo proibito in Italia
per via di una certa propaganda filoborbonica che lo pervade.
Un allievo del Rubamazzo, Ettore Puzza,
centromediano del Genoa Cricket and Football Club e latinista almeno
pari al maestro, volle precisare l'ipotesi del Rubamazzo. Secondo
questa variante, la formuletta avrebbe sì radici latine, ma queste
non affonderebbero nella classicità, bensì nel latino medievale;
secondo Puzza, infatti, sarebbe stato un monaco di Fonte Avellana a
vergare nel dodicesimo secolo una serie di commentari e di brevi note
che, a partire dalla dottrina allora in voga del Bellum Iustum,
tratteggiavano l'Homo Iustus, la Mulier Iusta, la Domus Iusta, ecc.,
insomma trattavano tutti gli ambiti della vita domestica e
dell'esperienza umana. Fra gli altri manualetti di comportamento si
ricorda anche quello dedicato al Canis Iustus, il quale avrebbe
meritato l'Os Iustum. Questi insegnamenti sarebbero stati compresi in
maniera solo parziale e semplificata dai contadini e dagli artigiani
dei dintorni, e appunto da una corruzione della dottrina sarebbe nato
in seguito il "Cani os", mutatosi poi in volgare nell'osso
al ca'. Cfr. E. PUZZA, Ma allora non avete capito un cazzo. Il
Medioevo frainteso, Sant'Ippolito 1900.
Assai diversa e rivoluzionaria è
invece l'interpretazione di Gianni Sgnaolo, storico del movimento
operaio, filosofo ed esteta, meglio noto per una lunga serie di
conquiste femminili nel jet-set (egli utilizza la vecchia e
collaudata tattica della logorrea ipnotica; dopo sei-otto ore di
chiacchiere pesanti, ma in realtà inconsistenti e prive di concetti,
la vittima è incapace di pensiero razionale e pronta ad accettare la
corte del barbuto viveur). Secondo Sgnaolo, il modo di dire è
recente, per la precisione ottocentesco; esso sarebbe stato messo in
voga da certi liberali senigalliesi di ritorno dall'Ungheria, dove
avevano combattuto di fianco a Kossuth. Nei decenni successivi
sarebbe stato poi fatto proprio dal nascente movimento operaio della
zona. L'osso cui si fa riferimento, stando a questa lettura, non sono
altro che le reliquie dei santi portate in processione per le città
marchigiane ancora impregnate di spirito papalino. Gli anticlericali
della zona erano dunque soliti presenziare alle processioni e ad
altre occasioni religiose e, facendo mostra di parlare d'altro,
commentare ad alta voce "Ce sta... come l'osso al ca'!",
con i menti rivolti ai venerabili ossicini In un paio di casi, anzi,
il confronto era degenerato in rissa aperta, con il tentativo da
parte delle frange estreme di rubare e profanare le reliquie. Si veda
al proposito AA. VV., Risse, bambini smarriti e furti di
porchetta: le feste del popolo nelle Marche postunitarie,
Montegranaro 1976 (con il contributo dell'associazione produttori di
tomaie). Per le tesi dello Sgnaolo, invece, secondo cui il passaggio
in proverbio di quella formula radicale avviene nel momento della
pacificazione post-bellica e dell'articolo 7 della Costituzione, si
legga Preti di merda: la maturazione del sentimento politico fra
Valmisa e Vallesina, in "Quaderni storico-estetici
proletari", 2/XIII, Passo Ripe 1989.
Infine, l'ultima interpretazione, più
fantasiosa, chiama in causa un certo Giovanni Coloccini, nato
nell'Ottocento a San Paolo di Jesi. Costui, uomo inquieto, avrebbe
fatto svariatissimi mestieri in giro per l'Europa e militato sotto
diverse bandiere, finché, sul finire del secolo, non si sarebbe
trovato in Egitto al seguito del noto archeologo prussiano Heinz Von
Kliechingen-Paccasassi. Qui avrebbe partecipato a una sfrenata corsa
all'antichità egizia, con la scoperta di diverse tombe e in
particolare della magnifica mummia del toro Apis, accompagnata da
quella del custode Giampiero. Il buon Coloccini, tuttavia, non
avrebbe mai colto in profondità l'essenza della civiltà egizia, che
pure lo affascinava; e, rientrato in patria, i suoi tentativi di
spiegarne la grandezza ad amici e vicini di casa non sarebbero giunti
a buon fine, anche per le carenze retoriche dello stesso Coloccini.
L'unica cosa che che filtrava dai suoi
discorsi sconnessi, infatti, era la contiguità fra morte, cadaveri e
Ka (qualsiasi cosa fosse); pareva anzi che fra ossa dei morti e Ka ci
fosse una relazione inscindibile, da cui si sviluppò in paese e
nella vicina Staffolo la costumanza di inserire nella chiosa dei
discorsi "come l'osso al Ka". In seguito, si perse la
memoria di Coloccini e dei suoi viaggi; ma il suo modo di dire, pur
frainteso, vive e prospera.
Interrogato su questa apparentemente implausibile ipotesi, pare che Theodor Sehrfickbar, decano dei linguisti tedeschi, abbia risposto: "Ich sehe einen Bund... Wie den Knochen dem Hund" (ci vedo un legame... Come l'osso al cane). Oppure anche questa è un'invenzione recente o una trovata simpatica (cfr. H. BUCHWALD, Studiosi germanici al Carnevale di Fano, o dello zucchero filato sulla Tavola Peutingeriana, ed. it., San Costanzo 1999).
* Lett. "scoppia"; in gergo,
vale "ci sta a pennello".
** Sciora' significa in origine
uscire, spandersi, allargarsi; è inoltre tipicamente usato per lo
spurgare delle olive sotto sale o per la simile necessità degli
ubriachi di mettersi all'aria fredda per riprendersi. In questo caso
significa "rilassarsi".
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